Recensione su Exibart.com

w017frame_mostwebMIND_SCAPES* W017/2007
La diciassettesima performance di Eleonora Chiesa

Sono circa 18 minuti in cui la performance rosa (dai neon che illuminano gli spazi bianchi) si sviluppa come un burlesque, recita la scritta al neon appesa alla finestra. Ovvero come uno spettacolo parodistico in maschera, sorto nell'Inghilterra vittoriana, esportato negli Stati Uniti e divenutovaudeville: un insieme di circo, danza e mascheramenti, popolato da quelle che oggi definiremmo pin-up e icone del fetish. Chiesa si veste con tutù di piume, calze a rete e maschera antigas. Al suo fianco, i performer Viktorija Gadraityte e Penelope Please, vestiti in pelle nera e tulle secondo un immaginario romantico e dark. I tre, chiusi nella stanza immersa nel sound elettro-minimal un po' sinistro del musicista e producer berlinese DIEB (in live set), accolgono cinque visitatori per volta, mentre gli altri osservano da dietro un vetro. Eleonora (Genova 1979), che dal 2002 sonda le possibilità espressive dell'interazione tra corpo e ambiente con eventi progettati per estremizzare alcune sensazioni, la performance è stata eseguita nel gennaio 2007 a Roma, negli spazi del Rialtosantambrogio. E ora viene esposta in anteprima video dalla galleria Rebecca Container, durante la popolosa festa organizzata per il locale Start della stagione espositiva delle gallerie private.

ll copione seguito dai tre è scritto su un canovaccio di Eleonora Chiesa e si nutre d'improvvisazione. L'artista mette in scena un paesaggio mentale dentro cui accogliere il pubblico, che viene destabilizzato, toccato, mascherato e provocato con lunghi sguardi fissi e silenti. L'eros a cui si allude è quasi una sofferenza, una lacerata pantomima in cui resta poco della passione che lo anima. L'aspetto interessante è la reazione spiazzata di alcuni ma anche la sicurezza con la quale altri accettano la sfida verso chi vuole per un momento annullarne le difese. Aleggia una sorta d'infantilismo consapevole, usato per far cadere il velo razionale. L'aspetto del gioco affiora in alcuni sorrisi, ma alla fine l'urlo munchiano di Chiesa prevale sulla sottile vena goliardica. È il definitivo strappo che giunge dopo tremori nervosi e carezze, quando la solitudine e l'incomunicabilità del personaggio dietro la maschera diventano disperazione.I luoghi psichici provocatori di Chiesa, spesso protagonista e "vittima" delle proprie performance, sono un ricettacolo di allegorie viventi, che enunciano tramite il corpo e i suoi "costumi" (nel doppio senso della parola) un disagio provato di fronte a un mondo, quello reale, fondato sui valori dell'apparenza e sempre più burlesque. Come un anticorpo, anche la performance di Chiesa utilizza brani del medesimo dna del virus che vuole indebolire. Una dose omeopatica che volge il male in rimedio: la fiction del reale si trasforma in emozione vera, anche se prodotta ad arte.

( Nicola Davide Angerame )
24 Ottobre 2007

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